Sunday, August 20, 2006

Un piccolo astro d'argento (parte prima)

Uno dei maggiori inconvenienti quando si vive con delle persone defunte è che essi non dormono mai.
Di conseguenza, quando la biologia e le fatiche della giornata vi fanno desiderare il sano e meritato riposo sotto le vostre calde coperte, qualcosa dentro di voi non riesce a sopirsi del tutto: la consapevolezza che loro siano svegli e privi di qualunque controllo genera un'inquietudine sottile e persistente.
La fronte si imperla di sudore, il battito cardiaco accelera. Ma poi il sonno vi prende per sfinimento e vi addormentate lo stesso, sperando che i danni siano minori di quelli che temete.

É raro, dunque, che al vostro risveglio le cose siano esattamente lì dove le avete lasciate. Non serve provare a ricordare se le avete spostate. Non le avete spostate.
Molto più probabilmente sono volate via durante una battaglia notturna a cuscinate, o sono state spazzate (senza troppi riguardi) per liberare un tavolo e rovesciarci sopra la vostra scatola delle vecchie foto o le vostre lettere di gioventù. I fantasmi cono curiosi come camerierine vittoriane.

Prepararmi e trovare solo uno dei miei due orecchini, quindi, è il meno che mi possa accadere all'inizio di un nuovo giorno.
Carmilla: “Qualcuno ha visto il mio orecchino? É tutto d'argento a forma di sole.”
Ruthven: “Cosa vuoi che ce ne facciamo noi di un orecchino? Sei paranoica.”
Carmilla: “Non penso che tu voglia metterlo, idiota. Mi chiedevo se magari qualcuno di voi potesse averlo visto o avere idea di dove... “
Mi rendo conto che la loro (enorme) pigrizia è senz'altro più forte della loro (scarsa) razionalità e decido di provvedere per mio conto.
In questa situazione la ricerca diventa impegnativa. Ogni singolo luogo ha, statisticamente, la stessa probabilità di essere quello giusto dal momento che non c'è alcuna connessione causale tra il vostro comportamento del giorno prima e l'attuale posizione dell'oggetto.
Il mio metodo, in questi casi, è platonico, dall'alto verso il basso. Le camere da letto vengono setacciate per prime. E poi via a scendere.
Entro nella mia stanza e comincio a spostare suppellettili alla ricerca del mio gioiellino.
Niente, la ricerca è infruttuosa. Provo a perlustrare il pavimento. Mm forse dovrei passare l’aspirapolvere un giorno di questi.
Non resta che provare nel «luogo simbolo» di tutte le cose perdute: sotto il letto.
Sollevo le coperte e il mio sguardo invece del tenue riflesso di un orecchino incontra... un altro sguardo.

Lo so che abito in questa casa da ormai più di un anno e che certe cose non dovrebbero sorprendermi più. Ma se trovo un uomo sotto il mio letto (e non ce l’ho messo io) qualcosa dentro di me non può fare a meno di spaventarsi da morire.
Lo sconosciuto accucciato sotto il mio letto mi guarda e cerca di dirmi qualcosa, con la coda dell’occhio lo vedo portarsi un dito alle labbra come per pregarmi di rimanere in silenzio ma il mio urlo di terrore è già partito.

Uomo che esce da sotto il letto: “Per l’amore del cielo, madame, state zitta! Siamo in grave pericolo!”
L’ospite, decisamente inatteso, rendendosi conto che le sue parole non sono sufficientemente convincenti mi mette una mano sulla bocca per soffocare i miei strepiti.
Nel frattempo le mie urla hanno fatto accorrere gli uomini di casa, se così si possono chiamare: Theo, Ruthven e il Giocatore di Football Senza Volto.
Theo: “Carmilla che fai? Vergognati! Cos’è questa scena da operetta?
Ruthven: “Da operetta? A me sembra più un harmony di seconda mano. Chi è questo qua?”
Mi libero della mano del mio assalitore.
Carmilla (con risentimento): “E lo chiedi A ME? Guarda che, per inciso, se questa è un’operetta io sarei la vittima”.
Theo alza un sopracciglio poco convinto. “Vorresti dire che lui sarebbe il bruto?”
Uomo che esce da sotto il letto (sdegnato): “Non vi permetto di parlarmi in questo modo. É il momento di chiarire la mia posizione”.
Beh almeno su una cosa siamo d’accordo. Intanto guardo il compagno non richiesto di questa assurda sceneggiata.
É alto e, bisogna pur dirlo, piuttosto aitante. I capelli scarmigliati gli ricadono sulle spalle, indossa solo paio di braghe nere e una camicia bianca molto mal ridotta, praticamente sbrindellata. Al fianco un pugnale e al collo una catenina da cui pende qualcosa di simile ad una chiave. Nei suoi occhi, fulgida, risplende la pazzia.
Si volge verso di me e mi fa un mezzo inchino
Uomo che esce da sotto il letto: “Signora scusate se ho abusato della mia superiore forza fisica per indurvi al silenzio. Posso giurarvi sulla vera croce che era necessario per la vostra e la mia incolumità.
La mia è la parola di un gentiluomo e dovete sempre tenerla per vera. Il mio nome è Potocki, conte Ian Potocki”.

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