Tuesday, November 28, 2006

Con una rosa (parte terza)

Guardo la pendola nel salotto e alzo gli occhi al cielo È tardissimo.
Certo che dovrei dormire.
Carmilla (sbuffando): “Grazie, avevo davvero bisogno che qualcuno me lo ricordasse”
Come se fosse facile riaddormentarsi dopo essere stati costretti ad alzarsi dal letto.
Carmilla: “Credo che una tisana calda potrebbe aiutarmi”
Mentre raggiungo la cucina Ruthven si posa sulla mia spalla.
Ruthven: “Preferisco stare con te”
Carmilla: “Cos’è tutto questo affetto improvviso? Forse sei un po’ deluso perché Teo è un “magnifico esemplare” e tu non sei stato nemmeno notato?”
Ruthven gira la testa di lato con stizza
Ruthven: “No, è solo che non mi va di fare il terzo incomodo”.
Carmilla: “Sei bellissimo anche tu” lo canzono dandogli un bacio sulle penne grigiastre.
Intanto traffico con le bustine da infusione
Carmilla: “Cosa preparo? Mela e cannella, menta e liquirizia o limone e cumino?”
Ruthven: “Ma dove fai la spesa? In un Sabbath? Caprifoglio ed erba di San Giovanni non ce l’hai?”
Carmilla: “Cosa vuoi capirne tu?”
Rodolfo II: “Signora scusate”
Io credo che il garante della privacy dovrebbe scrivere un capitolo sui defunti.
Non trovo giusto che il semplice fatto di essere morti consenta loro di intromettersi, in qualunque momento e in qualunque luogo, nella vita di quelli in carne ed ossa.
L’imperatore malinconico ci ha seguiti anche in cucina
Rodolfo II (senza alcun sentore della sua invadenza): “Io sto cercando una pianta”
“Una pianta?” Chiedo perplessa
Rodolfo II: “Oh sì, ne ho assoluto bisogno. Mi farebbe sentire molto meglio”
Ruthven: “Ora si spiegano molte cose...”
Scrollo Ruthven dalla mia spalla
Carmilla: “Io non ho il pollice verde, maestà, perdonatemi. Qui c’è solo un anthurium rosa che sopravvive nonostante l’incuria.”
Ruthven: “Sì, il limone e il cumino lo chiamano Ghandi, per via dell’ascetismo”
Rodolfo II si sforza di tenere insieme i suoi pensieri. L'operazione sembra provarlo visibilmente.
Rodolfo II: “No signora, non è una pianta che si coltiva. È selvatica, ma se sono fortunato riesco a trovarla nelle cucine.”

Ok forse la mia cucina non è quella di mastro Lindo ma ancora non ci cresce nulla, direi.
Carmilla: “Maestà vorrei davvero aiutarvi. Provate a descrivere questa pianta.”
Rodolfo II: “La sua chioma è lussereggiante eppure ha un aspetto mite. Ha piccoli fiori di un celeste tenue, semplice ma raro. È una pianta gentile e modesta. Ed emana un profumo delizioso.”
Rodolfo II parla della sua pianta fatata ed è come se l’avesse davanti a sè. Sembra entrato in un luogo che gli è più familiare di quello reale.
Carmilla (con desolazione): “Temo di non avere nulla di così poetico qui dentr...”.
Rodolfo II (interrompendola e con enfasi): “Eccola!
Esclama lanciandosi verso la mensolina alle mie spalle. Intanto provo a ricordare se il cumino ha per caso i fiori celesti.
L’improbabile imperatore stringe con cupidigia affettuosa un banalissimo (e velato di unto) barattolo di plastica di quelli che contengono le spezie da cucina. Per la precisione quello che ha suscitato l’entusiasmo di un così nobile signore è il vasetto del rosmarino.
Dopo tutte quelle descrizioni di profumi gentili e ondeggianti distese di fiorellini celesti fa male al cuore vederlo stringere con gioia un barattolo industriale col tappo rosso.
Ma cosa ci farà un imperatore di mezzo mondo allora conosciuto con del rosmarino in scatola?
Rodolfo II: “Lo prendo” si dà la pena di avvisarmi
Carmilla: “Certo maestà, del resto tutto quello che si trova sui vostri domini vi appartiene.”
Annuisce felice che abbia finalmente imparato le più elementari norme della vita di un impero. Poi, fissando il suo prezioso feticcio, torna in salotto.
Io comincio a sospettare che il sonno si stia allontanando di nuovo. Preparo la mia (ormai inutile) tisana e raggiungo gli altri.
Rodolfo II ha svuotato il barattolo e ha rovesciato tutto il suo contenuto sul tavolino. Prende delle manciate di foglioline verdi e appuntite e le porta al naso, inebriato.
Carmilla: “Va avanti da molto?”

Teo (senza staccare lo sguardo dalla scena): “Almeno 5 minuti”.
Rodolfo II: “Rosmarino, come ho potuto dimenticare questo nome? È parte integrante della sua bellezza.” Indugia sulla parola e la ripete assaporandola.
A dir la verità non riesco a scorgere una bellezza che possa giustificare il suo atteggiamento ma provo a fare uno sforzo poetico-immaginativo.
Rodolfo II: “Rosmarino... non la trovate una parola affasciante?”
Io e Teo abbozziamo per pura cortesia.
L’imperatore ne prende alcune foglie e le fa scivolare tra indice e pollice.
Rodolfo II: “È un’immagine piena di suggestioni” dice e capisco che parla di nuovo dal suo mondo, quello che gli appartiene e da cui è ancora più difficile seguirlo.
Teo: “Ehm quale immagine?”
Ruthven: “Le patate al forno o l’arrosto di vitella?”
Per fortuna Rodolfo II è impermeabile alle facezie. Specie quando è perso nel suo labirinto.
Rodolfo II: “Una rosa marina. Una rosa che cresce solitaria e magnifica sulla riva del mare, bagnata dalle onde.” chiarisce. Poi aggiunge sussurrando: “La vedete, la rosa?”
Quando entra davvero nelle sue terre l’imperatore non sembra più un idiota. Sorrido dolcemente e cerco di immaginare questa rosa unica al mondo, capace di crescere sull’acqua del mare.
Carmilla: “Per me è bianca, come la spuma delle onde”.
Scuote la testa.
Rodolfo II: “No le imprese impossibili riescono solo se si è traboccanti di passione. La rosa è rossa, e si scorge da molto lontano...”
Ruthven (sarcastico): “Anche il rosmarino gronda di passione?”
Rodolfo II: “Il rosmarino mi ricorda lei.”

(continua...)

Friday, November 24, 2006

Praga magica (parte seconda)

Teo: “Secondo te sono storie vere?”
Ruthven: “Assolutamente sì”
Teo: “Anche la signora di Pozzuoli?”
Ruthven: “Certo”
Muriel: “Da non crederci”
Ruthven: “Eppure è così”

Carmilla: “Mi duole interrompervi ma sareste così gentili da liberare il divano, così potremmo permettere al nostro ospite di stendersi e trovare sollievo?”
Guardano prima il mio poco convincente accompagnatore, poi si guardano tra loro e infine pigramente si sollevano dal mio sofà.
Carmilla: “Prego maestà, sistematevi pure qui, nel modo che preferite”
Sedicente regnante: “Grazie mia cara” dice con gratitudine

Ruthven e Teo mi si avvicinano perplessi
(tutti a bassa voce)
Ruthven: “Dovresti fare una selezione maggiore all’ingresso della tua camera da letto, Carmilla”
Teo: “Chi sarebbe?”
Carmilla: “Questa è una domanda interessante...”
Teo: “Vuol dire che non lo sai?”
Carmilla: “Dice di essere un re”
Teo: “Un re, quello? Mio nonno aveva più carisma. Ed era un orso...”

Sedicente regnante: “Non ho mai detto di essere un re” si inserisce il nostro oggetto di discorso.
Sembro la sola preoccupata di averlo potuto offendere, lui è decisamente più interessato a puntualizzare le cose.
Ruthven: “Il vecchio è svanito ma anche tu sei messa male, cosa ti ha fatto pensare che quello sciroccato potesse essere stato un re se non nella recita di quinta elementare?”

Sedicente regnante: “Sono imperatore” completa. Lo dice senza enfasi, piuttosto un po’ tediato. Ma forse è solo il suo mal di testa immaginario che non gli dà pace.
Noi ci guardiamo ancora più disorientati.
Si comprime la testa in modo penoso. Sembra che soffra davvero.
Sedicente imperatore: “Non mi resta che la solita soluzione” dice rassegnato, più parlando a se stesso che agli altri. Apre la sua valigia e tira fuori... la più alta e voluminosa corona che io abbia mai visto. Se la pone in capo ed emette un sospiro di sollievo.
Noi lo guardiamo inebetiti.
Sedicente imperatore: “Il peso sulla fronte allevia il mal di testa” spiega.
Annuiamo con la testa senza trovare parole

Teo (esitando): “Carmilla... Lo stemma sulla valigia è quello degli Asburgo”
Carmilla: “Il ricamo a vetrini?”
Ruthven: “Ah ah ah, vetrini?! Tesoro, se avessi saputo che non sai distinguere tra vetro e pietre preziose ti avrei chiesto di essere la mia fidanzata”
Carmilla: “Idiota, era buio e... chi poteva immaginare...”

Il nostro imperatore torna per un attimo presente a se stesso e si accorge di Teo.
Imperatore: “Magnifico esemplare” dice con sincera ammirazione
Teo gonfia il petto e risponde “Grazie maestà, in effetti discendo da una famiglia celebre per la prestanza fisica”
Imperatore: “Dunque parlate anche, meraviglioso...”
I suoi occhi si sono accesi di entusiasmo
Teo: “Ad essere sincero me la cavo discretamente anche nella scrittura”
Imperatore: “Ottimo, ottimo” dice l’uomo, conquistato, “Mi piacerebbe offrirvi tutti gli agi che meritate nella mia dimora, insieme alle altre cose fuori dall’ordinario di cui ho amato circondarmi”.
Teo: “Dove mi ospitereste, esattamente, maestà?”
Non capisco se sia un trucco di Teo per scoprire qualcosa di più sul nostro ospite o se stia sinceramente soppesando la proposta.
Imperatore: “Praga” risponde come se non potesse esserci altro luogo al mondo in cui un imperatore trasognato può raccogliere le più strampalate e costose curiosità. E in effetti, a pensarci meglio...
Poi, anche se tardiva, giunge l’illuminazione: “Praga!” Esclamo
Ruthven (con sufficienza): “Sì, ho sentito”
Carmilla: “Ecco chi è, Rodolfo II d’Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero. Come ho fatto a non riconoscerlo, con quel profilo!”
Ruthven: “È lui? Sei sicura? Ero convinto che fosse fatto di peperoni e zucchine. Ma tu non dovresti dormire a quest’ora?”

(continua...)

Wednesday, November 22, 2006

Notturno metropolitano (parte prima)

C'è chi dice che l'unico momento in cui non possiamo mentire è mentre dormiamo. Durante il sonno non possiamo fingere tranquillità se siamo agitati, sicurezza se ci sentiamo indifesi. Ognuno, forse, somiglia un po’ al suo riposo. O quanto meno il sonno riflette i nostri stati d'animo.
Io, ad esempio, dormo bene solo se la finestra è aperta. Anzi spalancata. Nella stanza deve entrare quel misto indecifrabile di luce siderale, lampioni cittadini e insegne luminose; quella luminescenza variabile che si posa dolcemente nella stanza e culla i pensieri.
Se poi la direzione del vento è tale per cui il rumore di un treno che passa sferragliando arriva attutito fino alle mie orecchie, allora il mio sonno sarà davvero beato.
Non so questo cosa dica di me e della mia personalità. So solo che quando fatico ad addormentarmi e mi rigiro nel letto, quella luce azzurrina mi conforta. Quando troppi pensieri affollano la mia testa, come stanotte, mi piace rivolgere lo sguardo verso il panorama familiare della mia finestra e trovarci qualcuno affacciato.
Un momento...
Mi metto a sedere di scatto. Ma chi è la sagoma alla finestra?
La notte è più luminosa di quanto la gente pensi. Una finestra metropolitana aperta illumina un ambiente con sufficiente chiarezza.
È un uomo, senz'altro. Ha avvicinato una poltrona al davanzale e si è seduto. Con la mano si sorregge il mento mentre guarda fuori, con un'espressione malinconica.
È talmente assorto che sembra aver dimenticato che nella stanza ci sono anch'io.
Potrei girarmi dall'altra parte e dormire.
Ma voi riuscireste ad addormentarvi sapendo che c'è uno sconosciuto inconsolabile affacciato alla vostra finestra?
Mi rigiro. Mi metto le scarpe e con gli occhi ancora assonnati raggiungo il mio ospite.
Lo osservo meglio alla luce diretta della luna.
Avrà almeno 50 anni, una folta barba più bianca che bruna e una ingombrante gorgiera. Mi accorgo che è vestito con grande sfarzo ma ciò nonostante ha un’aria trascurata.
Non è possibile che non mi abbia sentito alzarmi dal letto e avvicinarmi a lui. Eppure non si è mosso, nemmeno per cortesia. O mi ignora con ostentazione o la sua mente è davvero da un'altra parte. Cerco di scrutarlo e di capire come comportarmi con lui. Ha lo sguardo liquido di chi ha pensieri rarefatti, fluttuanti.
Cosa starà guardando?

Mi affaccio accanto a lui e cerco con lo sguardo l’oggetto della sua attenzione. No, non guarda assolutamente nulla.
Però, in fondo, non è poi così male starsene così, affacciati.
Mi perdo anch'io nei miei pensieri.
L'uomo barbuto sembra avvertire finalmente la mia presenza.
Mi guarda senza sorpresa ma quasi con curiosità. Deve essere abituato a riprendere all'improvviso contatto con la realtà. Seppure parziale.
Sconosciuto barbuto: “E voi chi siete?”
Non mi ero aspettata questa domanda. Non ha un tono inquisitorio. Sembra che abbia davvero bisogno di saperlo
Sconosciuto barbuto: “Siete mia moglie o la mia cameriera?”
Ok, il contatto con la realtà forse non è più recuperabile, però magari prima che sia l'alba potrei convincerlo dolcemente a scegliere un luogo per le sue riflessioni notturne che turbi meno il mio sonno
“Io sono la vostra ospite”, dico non sapendo bene cosa altro inventare
“Siete nella mia casa”
Sconosciuto barbuto: “Ciò è vero in parte dal momento che nulla qui è vostro in senso assoluto”. Lo dice senza prepotenza, come se non potesse non fare le opportune precisazioni.
Non che io sia attaccata ai beni materiali, però, insomma, in un periodo di incertezza socioeconomica almeno sapere di possedere una casa infestata è già meglio di niente.
Carmilla: “Non vorrei contraddirla ma questa casa mi appartiene”. Lo dico cercando di assumere lo stesso tono non polemico ma non so se ci riesco.
L'uomo appare quasi annoiato, come se fosse costretto a ripetere per l'ennesima volta qualcosa che anche i sassi dovrebbero sapere.
Sconosciuto barbuto: “Qualunque cosa si trovi sul mio dominio mi appartiene. È affidata temporaneamente a nobili o borghesi ma posso revocarne la proprietà in qualunque momento”
Ecco! Ci mancava giusto un re o un sedicente tale. Mi chiedo quale marca o granducato abbia avuto la disgrazia di essere amministrato da un uomo così... irreale.
Carmilla: “Perdonatemi signore, sono passati secoli dal vostro dominio (dico basandomi sulle tremenda gorgiera che porta al collo) non ricordo con quale nome erano conosciuti nella vostra epoca questi possedimenti”
Ma l’uomo sembra aver perso interesse alla conversazione e neanche si dà la pena di rispondermi.

Temo che dovrò sfogliare i miei libri di storia per avere qualche informazione in più.
Intanto dovrei portarlo via dal mio davanzale ma non mi viene in mente nessuna buona idea. L'uomo inizia a lamentarsi
Carmilla: “Cosa c'è, ehm... altezza?”
Sconosciuto barbuto: “La testa, mi fa male. Mi succede spesso.”
La cefalea sparisce con la morte, è ovvio. L'ipocondria no. Quindi anche un fantasma può lamentare disturbi psicosomatici se non si preoccupa di quello che gli altri possono pensare di lui.
Carmilla: “Maestà siate così gentile da seguirmi. Sono sicura che se vi stendeste sul divano in salotto vi sentireste subito meglio.”
Sconosciuto barbuto: “Potrei stendermi qui, sul letto”
Carmilla: “NO! Volevo dire, non lo trovo indicato.”
Sconosciuto barbuto: “Per le vibrazioni volete dire? È esposta a nord?” chiede con apprensione.
Rimango qualche secondo interdetta poi colgo l’occasione insperata: “Sì, era esattamente quello che intendevo”.
Sconosciuto barbuto: “Allora assolutamente non posso nemmeno avvicinarmici. Domani ordinerò di bruciare quel letto.”
Sorvolando sul fatto che basterebbe spostarlo, comunque, blasonato o meno, non è bello che qualcuno terrorizzi il mio letto. Lo guardo con affetto, come per rassicurarlo.
Eppure non riesco ad arrabbiarmi. L’ospite bislacco mi guarda fiducioso attendendo che lo conduca in un luogo in cui si potrà sentire meglio. Forse avrebbe piacere persino che lo prendessi per mano. Ma la sua regalità mi frena.
Sconosciuto barbuto: “Aspettate, ho dimenticato la mia borsa”. Recupera vicino alla mia finestra una grande borsa da viaggio su cui è ricamato a vetrini uno stemma nobiliare. Due uccelli o qualcosa del genere.
Lo accompagno al piano di sotto.
Come sospettavo Teo, Muriel e Ruthven sono davanti allo schermo che guardano ipnotizzati le cartomanti televisive.

(continua...)