Wednesday, August 23, 2006

Moonstruck (parte terza)

La sorpresa è stata troppo grande per riuscire a nasconderla.
Ma il conte è talmente mortificato che non riesco a infierire e mantengo un silenzio un po’ imbronciato.
Ruthven a Theo, sottovoce: “Niente male come gentiluomo, eh?! La cavalleria prevede che i nobili intaschino gioielli altrui?”
Potocki: “Signora, non ho parole per qualificare il mio comportamento. Se qualcuno dei suoi parenti volesse sfidarmi a duello non cercherò nemmeno di difendermi. Ma prima lasciate che vi sveli il terribile segreto che mi costringe a queste azioni riprovevoli.”
Povero conte svitato, se non fosse già stato inumato credo che vorrebbe seppellirsi. Siccome non riesco a immaginare nessuno dei miei compagni impugnare un fioretto per riparare l’offesa propendo per ascoltare le sue giustificazioni.
Del resto ha parlato di terribile segreto, no?
Senza perdere l’aria risentita lo invito a continuare. Lui emette un sospiro, si guarda intorno e poi inizia con pomposa serietà
Potocki: “Signori e, soprattutto, signora, chiedo perdono per ciò che state per vedere. Nessuna anima di Dio dovrebbe assistere mai a questi spettacoli ripugnanti. Tuttavia, l’onore della mia famiglia mi obbliga a discolparmi almeno in parte per il mio gesto meschino o, quantomeno, a lasciare al buon cuore dei miei giudici il riconoscimento di alcune attenuanti.
"Caro compagno" - dice a Ruthven - "con molto attenzione, spostate le coltri dalle finestre".
Ruthven, divertito, prende nel becco un lembo di tenda e la tira via.
Sentito il rumore della stoffa che scorre, il conte ha una reazione inaspettata: si contorce, urla e si strappa quello che resta della sua camicia. Ora capisco come aveva fatto a ridurla così.
Sinceramente turbato Ruthven viene a posarsi sulla mia spalla.
Ruthven: “Ma cosa diavolo ha? Sembra il fratello scemo di Wolverine.”
Carmilla: “Non lo so, è completamente ammattito, forse è il caso di chiudere quella finestra. E di corsa anche, prima che si faccia male.”
Ruthven si affretta a rimettere le tende al loro posto.
Carmilla: “Signore ma cosa vi prende?”
Potocki: “Lo avete visto anche voi: sono un lupo mannaro!” Esclama il conte con pathos

Un breve istante di imbarazzo ci paralizza tutti. Poi Ruthven esclama “Potocki, guardate che oggi la luna è all’ultimo quarto”
Potocki: “Uh davvero? Ah certo, questo è il motivo per cui la trasformazione non è stata ehm... completa”
Theo: “Quindi voi sareste?”
Potocki: “Proprio quello che avete potuto vedere coi vostri occhi: un licantropo, un garou o come più vi aggrada chiamarli. Ma sempre un mostro, un maledetto.” Si siede con aria afflitta sul mio letto con la testa tra le mani.
Vado a sedermi accanto a lui premurosamente
Carmilla: “No signor Potocki, non fate così.” Dico mentre mi mette la testa sulla spalla
Potocki: “Sì invece, nessuno vuol starmi accanto.”
Carmilla: “Ma cosa dite? Un uomo come voi? Valoroso, colto.”
Potocki: “A cosa serve quando rischio di ferire a morte chi mi sta vicino?”
La letteratura a volte dà alla testa, senza dubbio. Quella gotica temo più delle altre. Ma con tanti generi di follia che esistono al mondo perché uno dovrebbe mettersi in mente di essere un lupo mannaro?
Ruthven: “Va bene conte, ci ricorderemo di starvi ben lontani qualche giorno al mese. Ma con la nostra piccola vicenda del furto come la mettiamo?”
Potocki: “Voi riportate il discorso dove fa più male. Sono costretto a rubare da quando ho dovuto lasciare il mio castello.”
Theo: “A causa dei vostri nemici, immagino?”
“Esattamente” dice Potocki illuminandosi perché qualcuno mostra comprensione per la sua tragedia.
Potocki: “E vedete signora... ho bisogno di argento e sono costretto...” la ripugnanza gli rende difficile proseguire “a rubarlo. Come me ne vergogno.”
Carmilla: “Cosa fate con l’argento che... raccogliete, conte?”
Potocki alza la testa dalla mia spalla e mi rivolge uno dei sui sguardi sorpresi e allucinati.
Potocki: “Fabbrico una pallottola. Non esistono altri modi per uccidere un lupo mannaro, ne so qualcosa.”
Carmilla: “Caro conte, c’è qualcosa che mi sfugge nel vostro ragionamento".
In realtà stare dietro alla logica di Potocki sta diventando un’operazione al di sopra delle mie facoltà.
Potocki: “I miei nemici mi cercano e vogliono a tutti i costi il mio tesoro. Inoltre hanno scoperto la mia infausta natura e sospetto che vogliano catturarmi per sottopormi ad esperimenti scientifici. Così ho deciso di fabbricare una pallottola d’argento da portare sempre con me. In tal modo se i miei nemici dovessero trovarmi potrei uccidermi e non dirgli nulla del mio tesoro e non diventare mai un... fenomeno da baraccone. O peggio: una terribile arma omicida.”

Theo: “Ma non mi dite...”
Potocki annuisce gravemente.
Potocki: “Vedete ci ho già provato una volta, ho fabbricato una pallottola da un cucchiaino da te e mi sono sparato un colpo al cuore, ma non ha funzionato.”
Ruthven a Theo, sottovoce “Ha detto davvero con un cucchiaino da te?”
Theo: “Temo di sì...”
Carmilla: “In che senso?”
Potocki: “Sono un uomo sfortunato anche nella sciagura, madame, l’argento non doveva essere puro. Così non sono morto. Ho solo sentito un gran dolore e poi sono rinvenuto. Ma i miei nemici hanno creduto di avermi eliminato e sono riuscito a mettermi in salvo.”
Smetto di accarezzargli la testa
Carmilla: “Signor conte, perdonate io dovrei un attimo... andare di là per... dare ordini per la cena, ecco. Mi scusate?”
Potocki: “O certo cara, anzi, perdonate se ho turbato la vostra pace domestica.”
Carmilla: “Ruthven, verresti ad aiutarmi?”
Non è una richiesta, naturalmente.
Appena fuori dalla stanza chiudo la porta perché il conte non senta.
Ruthven: “A dare ordini per la cena? E a chi? Ai tuoi servi fatati? Freezolo, Fiordipanino e Quattrosaltiinpadella?”
Carmilla: “Ascolta, invece di fare dell’ironia sterile... ci pensi tu ad andare di là e dirgli che non è un lupo mannaro ma un uomo che si è ammazzato ed è diventato un fantasma?”

(mi sembrava inutile scriverlo, comunque continua : ) )

Monday, August 21, 2006

Perdere e ritrovare (parte seconda)

L’apparenza non è delle più “nobili” a dir la verità, ma non è decoroso indagare sulle alterne fortune degli antichi casati.

Conte Ian Potocki... questo nome non mi è nuovo.
Carmilla: “Ma sì!” esclamo soddisfatta “voi siete Potocki, quello che... “
Potocki: “Silenzio!!! Volete farci morire tutti?” Urla il conte provocando molto più trambusto di quello che intendeva evitare.
Potocki si guarda intorno concitatamente e poi dice imperioso “presto sotto il letto”
Carmilla: “e... perché?” mi azzardo a chiedere
Mi guarda con la compassione con cui si guardano gli inetti.
Potocki: “così non potranno trovarci”
Mi giro verso Ruthven e lo vedo con l’ala fare un gesto circolare al lato della sua testa; gesto che indica, convenzionalmente, cosa si pensa della sanità mentale di qualcuno dei presenti.
Mi mostro accondiscendente e mi infilo sotto il letto. Il conte fa un altro frenetico giro di perlustrazione poi mi raggiunge nel nostro discutibilmente impenetrabile rifugio.
Carmilla: “Signor Pot..”
Potocki: “Per carità! Non pronunci il mio nome”. Dice con voce strozzata.
Carmilla: “Chiedo scusa”. Ma la mia curiosità è troppo grande e mi arrischio a riprendere il discorso.
Carmilla: “Volevo solo sapere se voi siete QUEL Potocki”
Il suo sguardo diventa platealmente mesto. Ma non sta fingendo. Si sente davvero così.
Potocki: “Allora voi sapete? La mia triste fama mi ha preceduto... Troverò dunque mai pace?! Dice alzando gli occhi al cielo (o meglio alla rete ortopedica) e crollando il capo. Ora capisco perché avete urlato, ne avevate tutti i diritti.”
Carmilla: “Ma signore, io non vedo cosa ci sia di così spaventoso nella vostra opera, cioè si parla di fantasmi e demoni ma sempre in maniera abbastanza divertente. Non mi ha fatto paura.”
Interrompe la scena madre per guardarmi con diffidenza.
Potocki: “Ah, parlavate di quello”
Carmilla: “Beh, sì...”
Non capisco se è più sollevato o deluso.

Potocki: “Devo dire che è stato un bel colpo di fortuna, ritrovare un’opera così pregevole.”
Sorrido
Carmilla: “Signore io non parlerei di fortuna, ma del vostro straordinario talento e del vostro carisma.”
Potocki: “Che talento c’è nel trovare qualcosa che ha scritto un altro?”
Carmilla: “Ah ah, conte suvvia! Non vi facevo così burlone. In effetti leggendo i vostri racconti avrei dovuto immaginarlo.”
Potocki: “Persistete nell’errore? Scusate madame come si intitola l’opera di cui parlate?”
Carmilla: “Il manoscritto trovato a Saragozza. É il vostro capolavoro.”
Potocki: “Secondo voi se avessi scritto una raccolta di racconti l’avrei chiamata «il manoscritto trovato a Saragozza?»
Certo che no! L’avrei chiamato «il manoscritto scritto a Saragozza». O a Lione o a Varsavia. Non è difficile da comprendere vero?”
Carmilla: “Ma signor conte è chiaro che...”
Theo con la zampa mi dà un piccolo colpo come per dirmi di assecondarlo.
L’obiezione muore nella mia gola.
Carmilla (mugugnando): “certo, non fa una piega”.
Il conte impone di nuovo il silenzio, poi esce da sotto il letto brandendo il suo spadino.
Cerca febbrilmente dietro le tende, sotto le coperte, oltre la porta.
Ruthven gli si avvicina

Ruthven: “Conte Potocki, perdoni l’indiscrezione ma, esattamente, cosa ci minaccerebbe?”
Potocki: “I miei nemici caro compagno, i miei nemici. Mi inseguono senza tregua e finché sarete vicini a me sarete in pericolo anche voi.”
Ruthven: “E perché vi inseguono signore?”
Potocki: “Perché? Perché vogliono il mio tesoro!” Urla Potocki stringendo con la mano la chiavetta che gli pende dal collo.
Ruthven: “ehm, certo che domande... Comunque caro conte, a me sembra che la stanza sia sicura, forse possiamo far uscire gli altri dal nascondiglio.”
Potocki: “Credo che abbiate ragione, signore. Grazie dell’aiuto.”
Il conte si avvicina al letto
Potocki: “madame...” dice con galanteria mentre mi porge la mano per aiutarmi a riemergere. Forse è un conte per davvero.
Nel piegarsi verso di me gli scivola qualcosa dalla tasca, un piccolo oggetto metallico.
Lo raccolgo per ricambiare la sua gentilezza ma quando lo prendo in mano mi accorgo che si tratta del mio sole d’argento.

Sunday, August 20, 2006

Un piccolo astro d'argento (parte prima)

Uno dei maggiori inconvenienti quando si vive con delle persone defunte è che essi non dormono mai.
Di conseguenza, quando la biologia e le fatiche della giornata vi fanno desiderare il sano e meritato riposo sotto le vostre calde coperte, qualcosa dentro di voi non riesce a sopirsi del tutto: la consapevolezza che loro siano svegli e privi di qualunque controllo genera un'inquietudine sottile e persistente.
La fronte si imperla di sudore, il battito cardiaco accelera. Ma poi il sonno vi prende per sfinimento e vi addormentate lo stesso, sperando che i danni siano minori di quelli che temete.

É raro, dunque, che al vostro risveglio le cose siano esattamente lì dove le avete lasciate. Non serve provare a ricordare se le avete spostate. Non le avete spostate.
Molto più probabilmente sono volate via durante una battaglia notturna a cuscinate, o sono state spazzate (senza troppi riguardi) per liberare un tavolo e rovesciarci sopra la vostra scatola delle vecchie foto o le vostre lettere di gioventù. I fantasmi cono curiosi come camerierine vittoriane.

Prepararmi e trovare solo uno dei miei due orecchini, quindi, è il meno che mi possa accadere all'inizio di un nuovo giorno.
Carmilla: “Qualcuno ha visto il mio orecchino? É tutto d'argento a forma di sole.”
Ruthven: “Cosa vuoi che ce ne facciamo noi di un orecchino? Sei paranoica.”
Carmilla: “Non penso che tu voglia metterlo, idiota. Mi chiedevo se magari qualcuno di voi potesse averlo visto o avere idea di dove... “
Mi rendo conto che la loro (enorme) pigrizia è senz'altro più forte della loro (scarsa) razionalità e decido di provvedere per mio conto.
In questa situazione la ricerca diventa impegnativa. Ogni singolo luogo ha, statisticamente, la stessa probabilità di essere quello giusto dal momento che non c'è alcuna connessione causale tra il vostro comportamento del giorno prima e l'attuale posizione dell'oggetto.
Il mio metodo, in questi casi, è platonico, dall'alto verso il basso. Le camere da letto vengono setacciate per prime. E poi via a scendere.
Entro nella mia stanza e comincio a spostare suppellettili alla ricerca del mio gioiellino.
Niente, la ricerca è infruttuosa. Provo a perlustrare il pavimento. Mm forse dovrei passare l’aspirapolvere un giorno di questi.
Non resta che provare nel «luogo simbolo» di tutte le cose perdute: sotto il letto.
Sollevo le coperte e il mio sguardo invece del tenue riflesso di un orecchino incontra... un altro sguardo.

Lo so che abito in questa casa da ormai più di un anno e che certe cose non dovrebbero sorprendermi più. Ma se trovo un uomo sotto il mio letto (e non ce l’ho messo io) qualcosa dentro di me non può fare a meno di spaventarsi da morire.
Lo sconosciuto accucciato sotto il mio letto mi guarda e cerca di dirmi qualcosa, con la coda dell’occhio lo vedo portarsi un dito alle labbra come per pregarmi di rimanere in silenzio ma il mio urlo di terrore è già partito.

Uomo che esce da sotto il letto: “Per l’amore del cielo, madame, state zitta! Siamo in grave pericolo!”
L’ospite, decisamente inatteso, rendendosi conto che le sue parole non sono sufficientemente convincenti mi mette una mano sulla bocca per soffocare i miei strepiti.
Nel frattempo le mie urla hanno fatto accorrere gli uomini di casa, se così si possono chiamare: Theo, Ruthven e il Giocatore di Football Senza Volto.
Theo: “Carmilla che fai? Vergognati! Cos’è questa scena da operetta?
Ruthven: “Da operetta? A me sembra più un harmony di seconda mano. Chi è questo qua?”
Mi libero della mano del mio assalitore.
Carmilla (con risentimento): “E lo chiedi A ME? Guarda che, per inciso, se questa è un’operetta io sarei la vittima”.
Theo alza un sopracciglio poco convinto. “Vorresti dire che lui sarebbe il bruto?”
Uomo che esce da sotto il letto (sdegnato): “Non vi permetto di parlarmi in questo modo. É il momento di chiarire la mia posizione”.
Beh almeno su una cosa siamo d’accordo. Intanto guardo il compagno non richiesto di questa assurda sceneggiata.
É alto e, bisogna pur dirlo, piuttosto aitante. I capelli scarmigliati gli ricadono sulle spalle, indossa solo paio di braghe nere e una camicia bianca molto mal ridotta, praticamente sbrindellata. Al fianco un pugnale e al collo una catenina da cui pende qualcosa di simile ad una chiave. Nei suoi occhi, fulgida, risplende la pazzia.
Si volge verso di me e mi fa un mezzo inchino
Uomo che esce da sotto il letto: “Signora scusate se ho abusato della mia superiore forza fisica per indurvi al silenzio. Posso giurarvi sulla vera croce che era necessario per la vostra e la mia incolumità.
La mia è la parola di un gentiluomo e dovete sempre tenerla per vera. Il mio nome è Potocki, conte Ian Potocki”.