Wednesday, September 13, 2006

La cosa più importante (parte sesta e ultima)

Non era destino che godessi del mio meritato riposo. Qualcosa mi sveglia di soprassalto.
Potocki (scuotendomi leggermente): “Madame, madame”
Carmilla: “chi è? cos’è successo?”
Potocki: “Tranquilla mia cara, non c’è alcun pericolo. Volevo soltanto salutarvi. Le vostre parole mi hanno fatto riflettere. I miei nemici non mi consentiranno mai di vivere una vita tranquilla ma imparerò ad affrontare la mia condizione con diverso spirito. Inoltre” dice abbassando lo sguardo “mi sembrava doveroso restituirvi questo e rinnovarvi le mie più profonde scuse”.
Carmilla: “Il mio orecchino? Oh no, conte tenetelo voi, per ricordo.”
Sorride con dolcezza.
Potocki: “Non mi sbagliavo. Sapevo che avreste meritato il mio regalo. Tenete, ho deciso che non è più opportuno che lo tenga io.”
Appoggia sul mio comodino una catenina, mi bacia la mano e fa per andar via..
Non so spiegare perché ma quasi mi dispiace che ci lasci.
Potocki: “Madame, un’ultima cosa...”
Carmilla: “Sì?”
Potocki: “Non avete la faccia da strega.”
Per fortuna è troppo buio perché veda la vergogna dipingersi sul mio viso.
Potocki: “Anzi, con me siete stata angelica. Proprio per questo mi permetto di darvi un consiglio affettuoso: non dovete prendere troppo sul serio la letteratura, specie quella gotica. Non avete idea delle conseguenze che ne possono derivare.”
In realtà una mezza idee delle conseguenze ce l’avrei, ma non è il caso di esplicitarle in questo momento. Dopo un ultimo cenno di saluto Potocki
esce dalla casa, spadino alla mano e in atteggiamento guardingo.

Ruthven: “Ma bene signor cardinale, e i nostri candelabri d’argento a Jean Valjean non glieli abbaimo dati? Se vuoi lo richiamo, eh.”
Carmilla: “Sei davvero senza cuore, vuoi farmi credere che non ti eri un po’ affezionato a lui? E comunque anche lui mi ha lasciato un regalo.”
Ruthven: “Sì, una collana che ha rubato a qualcun’altra. Davvero interessante. Mancava solo che in merito raccontasse una nota leggenda popolare lituana.”
Theo: “Scusate ma alla fine nessuno ha detto a Potocki che è un fantasma?”
Carmilla: “No il nostro fine psicologo ha ritenuto più opportuno non deluderlo traumaticamente.”
Ruthven: “Che problema c’è? Fantasma, lupo mannaro, in fondo sono gruppi minoritari solidali.”
Carmilla: “Ricordami di non contare più su di te per le questioni delicate, Theo passami il regalo del conte, voglio guardarlo meglio.”
Theo si avvicina al mio comodino, prende la collanina in mano e poi si ferma.
Theo: “Carmilla... io credo che... questa sia la chiave del tesoro.”
Mi precipito giù dal letto
Carmilla: “Ne sei sicuro?”
Theo: “Sembra proprio quella che portava al collo.”
Ruthven: “Ma secondo voi ha lasciato solo la chiave o...”
Ci giriamo contemporanemante verso l’angolo della camera e ritroviamo la sagoma del baule di Potocki.
Carmilla: “Non posso crederci, ha lasciato qui il suo tesoro.”
Ruthven: “Questo cosa vuol dire? Che possiamo tenerlo per noi?”
Carmilla: “Beh, non credo che volesse disperderlo”
Ruthven: “Stai scherzando? Vuoi dire che abbiamo un tesoro in casa e non possiamo spenderlo?!”
Carmilla: “Certo che no, non è nostro”
Ruthven: “Ma te lo ha regalato. E’ nostro!”
Carmilla: “Ruthven, Potocki non ci ha regalato il tesoro, ma l’onore di custodirlo al suo posto.”
Ruthven: “Il tuo folle ipercorrettismo da poema epico è solo una misura della tua rigidità mentale”
...

Theo: “Però magari potremmo aprirlo, no? Aprirlo non è tradire la sua fiducia, giusto?”
Carmilla: “Beh sì... credo che non ci sia niente di male.” In realtà speravo che qualcuno trovasse alla mia coscienza un escamotage
Ruthven: “Ok, alla peggio poi rimettiamo tutto a posto e fingiamo di non averlo mai toccato.”
Carmilla: “Mi sembra perfetto, dammi la chiave, Theo.”
Sto per infilarla nella serratura ma mi fermo. Immaginare è sempre più divertente che fare.
Carmilla: “Secondo voi cosa ci sarà lì dentro?”
Ruthven: “Tutti i monili che il conte ha rubato prima di incontrare te.”
Carmilla: “sgradevole bestia”
Theo: “Non so, magari dobloni spagnoli”
Carmilla: “O forse gioielli orientali”
Theo: “Ad ogni modo il conte ha viaggiato molto, credo abbia raccolto preziosi in ognuno dei luoghi che visitava.”
La curiosità mi divora, infilo la chiave con trepidazione e aspetto di essere dolcemente colpita dal luccichio ovattato dell’oro antico.
Alzo il coperchio.
...
...
Carmilla: “ma sono...”
Ruthven: “non ci posso credere”
Theo: “sono libri.”
Due dozzine di splendidi libri di favole, scritti in varie lingue, mirabilmente illustrati e finemente rilegati: questo è il tesoro del conte Ian Potocki.
Carmilla: “Sono meravigliosi.”
Ruthven: “Sono LIBRI, ti rendi conto? Quel tipo ha difeso a spada tratta dei LIBRI. Come se i pirati sapessero leggere!!!”
Theo ride, io sono affascinata.
Carmilla: “C’è qualcosa di eroico in tutto questo, non trovi?”
Ruthven: “NO!”
Theo: “Aspetta, c’è un biglietto, credo sia del conte.”
Carmilla: “E’ indirizzato a noi?”
Theo: “Credo che sia indirizzato a chiunque apra il baule”
Carmilla: “Cosa dice?”
Theo: “Alla fine di tutto la cosa più importante sarà avere una bella storia da raccontare.”

Tuesday, September 12, 2006

La reginetta dei briganti (parte quinta)

Potocki: “Dal momento che me lo chiedete, vi racconterò questa storia per allietarvi e per ringraziarvi della vostra ospitalità.”
Mi siedo anch’io sul mio letto e Ruthven mi si posa in braccio.

Storia della Reginetta dei Briganti

Philippe Renard discendeva da una famiglia di contadini. Non erano dei grandi proprietari terrieri ma riuscivano a vivere dignitosamente. Philippe, arrivato alla giusta età, decise di prender moglie e scelse Joan, una bella ragazza timorata di Dio. La scelta si rivelò felice perché Joan si mostrò subito un buona moglie e una buona madre. Aveva già messo al mondo tre figli, di cui due maschi, quando si accorse di essere di nuovo incinta. Forse qualcun altro nel villaggio provava invidia per la loro serenità o forse fu solo il fato, ma il quarto figlio di Joan, una femmina, nacque mentre il campanile della chiesa batteva i rintocchi della mezzanotte. I Renard si guardarono e guardarono la levatrice, non ci voleva certo un indovino per capire che quella bimba sarebbe cresciuta strega. Nessuno avrebbe allevato una strega nella propria casa e il buon senso avrebbe voluto che i suoi genitori la uccidessero, ma Philippe aveva il cuore troppo tenero e non ne fu capace. Così invece di affogarla come un gattino la abbandonò davanti alla casa di una vecchia del paese che strega lo era già.
Quando la megera trovò la bambina non le parve vero e l’allevò con tutto l’amore di cui può essere capace una strega.
La bambina crebbe imparando presto e bene tutte le arti magiche. E in vero i suoi genitori non si erano sbagliati perché a undici anni aveva già una perfetta faccia da strega.
Un brutto giorno la sua matrigna decise di recarsi per certi suoi affari in un altro paese, così noleggiò una carrozza e portò con sè la sua pupilla.
Tutti temevano la vecchia strega e molti iniziavano a temere la sua allieva. Ma fuori del villaggio le due donne apparivano nè più nè meno che una facile preda per i banditi che le assalirono.
I briganti tagliarono subito la gola alla vecchia che prima di morire, però, fece in tempo a maledirli se solo avessero osato torcere un capello alla bambina. I banditi si resero allora conto di aver ucciso una strega e ne furono spaventati. Così, per non attirare le maledizioni della loro vittima, presero con loro la bambina con la faccia da strega e la trattarono con tutti gli onori.
Gli uomini della macchia non erano certo abituati a vivere con delle bambine e a dir la verità erano anche turbati dalla giovanissima maga. Ma quella in poco tempo seppe conquistare la loro fiducia rendendosi utile. Si arrampicava sugli alberi per fare la vedetta, aiutava i briganti a tendere gli agguati e inoltre fabbricava amuleti per l’invulnerabilità e recitava le formule che fermavano le emorragie.


La piccola strega, crescendo, era diventata un elemento fondamentale della banda ma la sua influenza era destinata a crescere ancora. Un giorno trovò una cornacchia ferita e la curò. Quando la cornaccia fu guarita la strega le ordinò di far da sentinella. Nessuno poteva avvicinarsi al campo dei banditi senza che l’uccello li scorgesse da molte miglia in lontananza.
Un altro giorno la strega trovò un orso ferito nel bosco e lo curò. Quando l’orso fu guarito la strega gli ordinò di proteggere lei e i suoi compagni. Nessuno poteva aggredire la strega o gli altri banditi senza che l’orso li squartasse.
La banda diventò così invulnerabile e la sua fama si sparse per boschi e montagne. La strega con la cornacchia e l’orso divennero lo spauracchio dei paesani e la spina nel fianco dei gendarmi.
I banditi ormai chiamavano la strega la loro regina.
Ma un giorno la regina dei briganti trovò un uomo ferito e volle curarlo. Non era come i suoi compagni, era giovane e bello e aveva un’aria delicata.
Lo portò nella sua tenda finché non si rimise in forze. Quando fu di nuovo in vigore, il giovane chiamò a sè la strega per stringerla. La strega gli si avvicinò ma l’uomo disse “prima manda via quell’uccello nero, mi mette tristezza” e la strega, che avrebbe fatto qualunque cosa per il giovane biondo, cacciò la cornacchia. Ma la cornacchia non voleva andare via perché doveva eseguire gli ordini che le erano stati dati. Allora la strega prese una pietra, la lanciò alla cornacchia e la liberò dall’incantesimo. Di nuovo la strega si avvicinò ma l’uomo disse “manda via quel grande orso, mi intimorisce e mi sembra di non esser soli” e la strega cacciò l’orso. Ma quello non voleva saperne di andar via. Allora la strega prese una pietra gliela lanciò e lo liberò dall’incantesimo.
Così la strega finalmente giacque con l’uomo biondo.
Ma mentre la strega abbracciava il suo amante, la banda, rimasta senza protezione, veniva assalita e dispersa dalla gendarmeria di cui il bel giovane era comandante.
Quando la strega si rese conto di quello che succedeva uscì fuori disperata. Vide i suoi compagni uccisi o arrestati e i suoi sentimenti derisi. Prese il suo pugnale e, senza che l’altro potesse rendersene conto, glielo conficcò nel cuore.
Dopoichè si uccise per la vergogna e, come la sua matrigna, se ne andò con una maledizione sulle labbra. Maledisse se stessa, la sua debolezza e la crudeltà del giovane. Io ci condanno – disse - a incontrarci ancora cento volte e ogni volta tu spezzerai il mio cuore e io spezzerò il tuo.

un po’ cupa ma suggestiva, non trovate? del resto il folklore popolare è pieno di queste vicende.”
Potocki si alza e fa un ulteriore giro di perlustrazione nella stanza.

Ruthven: “Folklore popolare? Ma per chi ci ha presi? Se l’è inventata adesso. Ti pare che possa esistere una storia con una strega, una cornacchia e un orso?”
Carmilla: “Mi stai dicendo che ho la faccia da strega?”
Ruthven: “No, sto dicendo che il tuo amico è matto da legare. Inventa storie e le attribuisce ad altri. E poi magari ci crede.”
Theo: “Forse esiste davvero questa storia, potrebbe essere una coincidenza.”
Ruthven: “Una coincidenza?! Se avesse conosciuto Muriel ci avrebbe messo dentro anche la pecora incantata. E magari il bandito senza volto che gioca a football.”
Carmilla: “Sapete cosa c’è? E’ tardissimo e io ne ho abbastanza dei vostri deliri e dei vostri battibecchi. Crollo dal sonno, voglio dormire, uscite tutti fuori.”
Mi infilo nel letto senza nemmeno cambiarmi, gusto la morbidezza del mio cuscino e sprofondo nel mondo dei sogni. A volte è faticoso vivere con presenze che non hanno bisogni fisiologici.

(la prossima è l'ultima...)

Sunday, September 10, 2006

La cura giusta (parte quarta)

Ruthven: "Non pensarci nemmeno! Io con Arsenio Lupin non lo faccio questo discorso. Potrebbe perdere le poche rotelle che gli restano."
Carmilla (con sicurezza): "Oh, invece lo farai"
Ruthven: "Perché diavolo dovrei farlo io?"
Carmilla: "Beh, perché sei un vampiro, no?"
Ruthven: "Che razza di motivazione è? E poi vampiri e lupi mannari si odiano, lo sai?"
Carmilla: "Sì ma lui NON è un lupo mannaro quindi ora tu vai di là e gli parli."
Ruthven: "Sento che le tue argomentazioni non sono logicamente valide."
Carmilla: "Vai!"
Ruthven: "D'accordo, ma farò a modo mio."
Ora c'è solo da sperare che la cura non sia peggiore del male...

Riapriamo la porta e vediamo Potocki e Theo seduti sul letto che discorrono animatamente
Potocki: "A quel punto i pirati riuscirono ad arpionare la nostra nave e sul ponte si scatenò l'apocalisse. Nuvole nere di polvere da sparo si alzavano come fumi infernali e gli sguardi di quegli uomini negavano ogni possibile clemenza. L'avidità aveva stravolto orrendamente i loro visi che somigliavano ormai a quelle maschere rituali che alcune tribù forgiano per spaventare i nemici materiali e immateriali. Di tal fatta erano gli uomini da cui dovevo difendermi. Ma più del timore di perdere la vita, mi tormentava l'idea dello scempio che avrebbero fatto del mio tesoro. Non potevo sopportarlo, avevo viaggiato anni per raccoglierlo e lo custodivo con affetto quasi materno. Allora imbracciai una sciabola e iniziai a menar colpi alla cieca finché non raggiunsi una scialuppa. La lanciai in acqua e poi mi tuffai anch'io senza mai abbandonare la cassa con il mio tesoro. Dopo giorni e giorni in cui le correnti si trastullarono con il mio guscio di noce, riuscii finalmente ad approdare sulla terra ferma, ma le mie sciagure erano appena iniziate perché proprio su quelle spiagge avrei di lì a poco incontrato un nemico ben più pericoloso..."
Tossisco discretamente.
Potocki: "Oh madame, stavo raccontando brevemente al nostro comune amico come sono giunto fin qui insieme ai miei beni"
Carmilla: "Ma signor conte, avete affrontato tante difficoltà senza mai separarvi dal vostro prezioso carico?"
Potocki: "Mai" dice fieramente.
Carmilla: "E ora dov'è?"
Potocki: "Qui" dice con naturalezza. Raggiunge un angolo della stanza, solleva un mantello scuro e mostra orgoglioso un vecchio baule di legno, con borchie in metallo. Proprio il tipo di baule che ci si immagina di trovare su una nave affondata.
Potocki: "Anche se, per i problemi legati alla mia triste sorte, spesso penso di non essere un guardiano adeguato per queste ricchezze..." dice il conte rabbuiandosi.

Guardo Ruthven severamente e il pennuto si affianca a Potocki
Ruthven: "Caro amico, lasciatevelo dire, voi avete una visione distorta della vostra condizione."
Potocki: "E' facile per voi parlare. Non sapete quale tormento...
Ruthven: "Mi duole correggervi conte, ma vi sbagliate. Io sono, come voi, una creatura duale e potenzialmente pericolosa. Sono un vampiro."
Potocki lo guarda prima con interesse poi con sorpresa
Potocki: "Allora noi dovremmo essere nemici!
Ruthven: "No, no Potocki, è proprio qui che volevo arrivare. I tempi sono cambiati, il mondo non è più lo stesso. Oggi è molto più facile essere una creatura non umana."
Potocki: "Dite?"
Ruthven: "Certamente! Guardate me! La mia vita è talmente tranquilla che quasi mi annoio. Vedete, il vostro problema è a monte della questione. Voi considerate la licantropia un handicap, un qualcosa «in meno» che voi avete rispetto agli esseri umani. Invece è il contrario, è la vostra doppia natura che vi rende, raro, eccezionale."
Potocki si fa pensoso, poi sorride.
Potocki: "Non ci avevo mai pensato in questi termini."
Ruthven (confidenzialmente): "E poi, ve lo confesso, questa selvatichezza... fa impazzire le donne!"
Potocki (a bassa voce): "Ne siete sicuro?"
Ruthven (annuendo): "Al cento per cento."
Potocki sorride con più convinzione.
Il mio sguardo passa dall'uno all'altro e mi chiedo chi dei due mi inquieti di più.
Potocki emette un sospiro quasi liberatorio: "Era molto tempo che non ascoltavo parole così rassicuranti. Ve ne sono molto grato. E dire che..."
Carmilla: "Cosa, conte?"
Potocki: "A guardarvi meglio..."
Carmilla, Ruthven, Theo: "???"
Potocki: "Mi ricordate i personaggi di una storia che mi raccontarono una volta in una piccola isola della Francia. Parlava di una giovane donna che comandava un gruppo di banditi."
...
...
Ruthven nell'orecchio di Carmilla: " Perché non va avanti? E' andato in corto circuito permanente?"
Carmilla a Ruthven: "La tua assoluta mancanza di savoir faire assume quasi un interesse scientifico, lo sai?" a Potocki : "conte sareste così gentile da raccontarci la vostra storia?"

Friday, September 01, 2006

Dlin Dlon

Buonasera.
Sono il maggiordomo morto di casa Karnstein.
La Contessima mi ha pregato di comunicarvi un messaggio: la mia padrona, attualmente in villeggiatura nella terra dei vivi, tornerà nella casa stregata il 9 settembre.

Ah, se vedete Ruthven... Ditegli che se lo becco ancora a rovistare nella dispensa degli alcolici userò il suo ectoplasma per farne vitel tonné. Grazie.